Non è questione di ignoranza, ma, più che altro, di abitudini verbali che si diffondono nell’ambiente come fossero un virus: modi di dire imprecisi, parole utilizzate nel modo sbagliato, anglicismi vuoti o calchi da altre lingue tradotti erroneamente sono ormai dilaganti e, quel che è peggio, si diffondono con una velocità impressionante senza che ce ne rendiamo conto. Scommettiamo che li utilizzi anche tu, magari pensando di essere nel giusto?
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Parole usate male: perché accade?
La piaga dei termini e dei modi di dire impiegati in modo sbagliato interessa la quasi totalità di noi e non risparmia neppure esimi studiosi, intellettuali e capoccia vari. Spesso, l’accezione corrente (e sbagliata) inizia a soppiantare quella corretta, si diffonde a macchia d’olio fino a diventare tollerata, poi accettata, infine persino quella che va per la maggiore, guadagnando uno status di legittimità formale. Formale, non ufficiale. Quel che è peggio è che, la gran parte delle volte che accade, ne siamo inconsapevoli, siamo persino disposti a reagire in modo sgarbato se qualche paladino della lingua ci fa presente l’errore. La parola acquista una memoria sociale, si trasforma, indossa nuove vesti imposte dalla mondanità linguistica e non serve neppure l’approvazione accademica: una sorta di rivoluzione dal basso, perseguita silenziosamente da un intero popolo che attenta subdolamente alla sintassi italiana.
Piuttosto che, piuttosto che, piuttosto che…
“Piuttosto che uscire con te, mi faccio suora.” Ecco il modo giusto di utilizzare l’avverbio piuttosto, nonché di mettere in riga un provolone. Eppure, il suo impiego più frequente è quello che lo vede impiegato in alternativa alle congiunzioni oppure e o: “Potremmo andare al mare piuttosto che al lago piuttosto che restare a casa a studiare grammatica.” ‘Piuttosto’ è un avverbio che si usa davanti a proposizioni avversative e significa ‘invece di’, indicando una preferenza. L’utilizzo con significato disgiuntivo, però, oggi è stato sdoganato anche ai più alti livelli, al punto che non è affatto raro vederlo scritto o pronunciato in luogo di ‘invece di’, per introdurre due o più alternative equivalenti, non solo nelle situazioni colloquiali, ma anche in tv e sui giornali. Tale uso è improprio, anche se in pochissimi vi faranno presente l’errore. Continua pure a utilizzare ‘Piuttosto’ come ritieni, ma fallo almeno con la consapevolezza di essere in fallo.
Estrapolare: la matematica è un’opinione
Questa potrebbe sorprenderti: la parola estrapolare viene sistematicamente utilizzata in un’accezione che è esattamente opposta a quella corretta. Il termine, infatti, deriva dal gergo matematico e indica l’operazione che permette di calcolare il valore di una funzione per un punto posto al di fuori di un insieme discreto di dati noti. Ad esempio: se, facendo una dieta, dopo la prima settimana ho perso 2 chili e dopo la seconda settimana ho perso un altro chilo, posso affermare che al termine della terza settimana avrò perso un altro mezzo chilo. Questa è un’estrapolazione e non ha nulla a che vedere con il modo in cui ci serviamo del verbo ‘estrapolare’ nel linguaggio comune, cioè per indicare l’estrazione di un’informazione dal suo contesto. Estrapolare implica un atto deduttivo, un’estensione, una funzione opposta a quella per cui il verbo viene utilizzato usualmente. Va detto, però, che oggi anche i dizionari hanno accettato l’uso corrente del lemma e lo riportano nelle proprie definizioni.
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Confidente con il proprio confidente
La parola confidente ha vissuto per decenni una vita tranquilla, al riparo da equivoci e da utilizzi impropri. Il confidente altro non è che una persona di cui ci si fida e a cui si rivelano i propri segreti o, in un’altra sfumatura, un informatore, una spia. L’imposizione sempre più marcata di anglicismi, però, ha portato a una rimodellazione semantica del termine che, sul calco dell’inglese Confident, ha iniziato a modificare la propria denotazione e, sempre più spesso, soprattutto presso un pubblico giovane, a essere impiegato in luogo di pratico, esperto in qualcosa. Essere confident, infatti, significa avere dimestichezza con una certa attività o con un certo strumento. Questo è solo uno dei tanti, aberranti esempi di parole italiane che, a causa della similarità (solo morfologica) con il corrispettivo inglese, viene sempre più spesso usata in maniera sbagliata; altri esempi sono sentiment, community o concept.
In inglese fa più figo
C’è poi un elenco sconfinato di termini stranieri entrati ormai da tempo a far parte delle nostre abitudini verbali nonostante l’esistenza del corrispettivo italiano. La prassi, che risente molto del contesto manageriale, appare come un vero e proprio attentato alla nostra lingua, estirpata gratuitamente delle proprie parole in favore di termini spesso criptici e totalmente inutili. Il copyright è semplicemente il diritto d’autore, lo schermo del cellulare è identico al display dello smartphone, di qualunque marca (o brand) esso sia. Usare parole inglesi non renderà più fashion il tuo device, il mio dispositivo è alla moda quanto il tuo. Una riunione ha la stessa importanza e durata di un meeting e una festa diverte quanto un party. E questa è solo una minima parte degli esempi che si potrebbero fare. Ma poi, fa davvero così figo usare parole inglesi senza alcun reale motivo? Solo a me dà l’idea di uno stile caricaturale e poco serio?
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Da tutto ciò si evince che…
E non finisce mica qui. In che modo utilizzi la parola alternativa? Credi sia un sinonimo di scelta? Sbagliato: il termine può essere utilizzato nel caso in cui le opzioni selezionabili siano solo due e non, come spesso accade, nel senso di varie possibilità a disposizione. Un errore che non accetta alibi. Ma cosa c’entra adesso l’alibi? Alibi non è mica un sinonimo di scusa, ma un vocabolo che deriva dal latino alibi e che significa altrove; nel passaggio dal latino all’italiano la parola si trasforma da avverbio in sostantivo e, nell’accezione giuridica, indica il trovarsi da un’altra parte rispetto al luogo in cui si è consumato un reato. Questo articolo ha decimato le tue certezze? No, non credo. Decimare, infatti, non vuol dire distruggere, bensì, più specificatamente, punire un gruppo di soldati dieci alla volta. Cosa possiamo evincere da tutto ciò? Un bel niente! Perché il verbo evincere deriva dal gergo giuridico e significa rivendicare, ottenere agendo per vie legali, dal latino evincĕre, ovvero vincere, superare. Come la parola sia finita col designare l’atto di dedurre resta un mistero. Come nel caso di ‘estrapolare’, però, anche qui i dizionari hanno alzato bandiera bianca, accogliendo il lemma nella sua nuova accezione.