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Che cos’è il mansplaining? Analisi sul significato e sull’utilizzo di un neologismo divisivo e complesso

mansplaining significato

Siamo nella società della polarizzazione. Qualunque tema presenti significativi risvolti sociali – e un minimo di complessità – diventa uno spartiacque capace di dividere il pubblico perfettamente a metà: da una parte i detrattori; dall’altra i sostenitori.

Vuoi un esempio? Il tema che mi accingo a trattare: il mansplaining.

Prima di addentrarmi nella discussione, faccio una premessa: mi rendo conto di quanto possa apparire paradossale che un uomo scriva un articolo per spiegare cosa sia il mansplaining (se non conosci il significato, comprenderai a breve il paradosso). Infatti, il mio intento non è esattamente quello. 

Più che spiegare a cosa faccia riferimento questo fenomeno, mi piacerebbe provare a stimolare un ragionamento più ampio, superando la dicotomia ormai ammuffita, sebbene costantemente in auge, del sostenitore / detrattore a priori, provando a ridare dignità a quell’area grigia che si pone fra i due estremi, dove si annida la possibilità di sviluppare un ragionamento con le giuste sfumature e il legittimo distacco emotivo. Un discorso in cui non sia tutto abulicamente schiacciato su posizioni del tipo:

Il mansplaining è una stronzata!” / “Ogni cosa è mansplaining!

Ecco. Proviamo davvero a riappropriarci della scala di grigi, abbandonando le estremizzazioni da tifoso della curva. Perché, come sempre, quando il dogma centrifuga il ragionamento, a perderci è sempre la collettività nel suo complesso.

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Che cos’è il mansplaining: chiariamo il suo significato

Mansplaining è una crasi formata da due termini inglesi:

  • Man, ovvero uomo
  • Explaining, ovvero spiegare

Si parla di mansplaining quando un uomo utilizza un atteggiamento paternalistico e condiscendente per spiegare qualcosa a una donna. Il mansplaining è un concetto tirato in ballo soprattutto (ma non necessariamente) quando l’uomo:

  • Affronta temi molto più vicini all’universo femminile che a quello maschile
  • Non tiene conto delle reali competenze della propria referente (che magari potrebbe essere più esperta dell’uomo sul tema in oggetto);
  • Utilizza nella propria spiegazione un approccio semplicistico, sottintendendo che la sua interlocutrice non abbia sufficienti capacità o strumenti per comprendere una spiegazione più elaborata;
  • Non tiene conto del punto di vista della sua interlocutrice, imponendo una spiegazione anche laddove non sia stata richiesta.

Questo simpatico video reperito su YouTube offre un ulteriore chiarimento sulla questione:

Uomini che parlano di donne

Il concetto di mansplaining viene spesso impiegato in riferimento a uomini che hanno la pretesa di spiegare alle donne cosa sia il patriarcato, ma la sua diffusione è ormai molto più ampia, arrivando a includere nella casistica qualunque scenario in cui l’uomo palesi un atteggiamento di superiorità e supponenza nei confronti della donna.

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Dal calco di questo neologismo se ne sono diffusi altri:

  • Whitesplaining: quando una persona di pelle bianca si relaziona con condiscendenza a persone di altre etnie.
  • Straightsplaining: quando un etero fa la stessa cosa nei confronti di un membro della comunità LGBTQ+.

Mansplaining: esempi pratici e risvolti sociali

Le statistiche dimostrano che gli uomini:

  • Zittiscono le donne molto più di quanto facciano le donne con gli uomini
  • Prendono la parola molto più spesso delle donne durante brainstorming e incontri di lavoro
  • Scrivono l’80% degli articoli di opinione (il 68% nell’online)

Questi sono solo alcuni dati che servono a rafforzare un’idea che non dovrebbe avere alcuna necessità di essere dimostrata: il mansplaining esiste. E inoltre, esso offre molteplici e notevoli sfaccettature che vanno oltre la mera imposizione di spiegazioni superbe e altezzose.

Il mansplaining è una vera e propria attitudine del pensiero maschile, un approccio automatico, alimentato dalla cultura, dalla memoria storica, dalla quotidianità. 

Il mansplaining sta in tutte le volte in cui un uomo interrompe una donna sul posto di lavoro, mentre non si sognerebbe mai di farlo con un collega dello stesso sesso.

In tutti i pazienti che danno del Tu a un medico donna, ma che non si sognerebbero mai di farlo con un collega uomo, rigorosamente appellato con il “Lei”.

Il mansplaining sta sui social: ad esempio, su X i post degli uomini ricevono più like e sono ritwittati mediamente il doppio rispetto a quelli delle donne.

Mansplaining sono tutte quelle condotte che, consapevolmente o (peggio ancora) istintivamente, portano a sminuire la donna sulla base del suo essere tale e non per via di caratteristiche attribuibili alla singola persona.

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Banalizziamo: 

  • Se interrompi una donna perché pensi che non stia dicendo nulla di interessante o perché ritieni che quella specifica persona non sia meritevole di essere ascoltata; se ti comporteresti allo stesso modo anche con un uomo, sei un maleducato, un arrogante e un cafone, ma non stai facendo mansplaining.
  • Se la tua attitudine a non prendere in considerazione l’opinione degli altri si manifesta maggiormente (o esclusivamente) quando ti relazioni con le donne, e proprio in funzione del suo essere donna, allora stai facendo mansplaining.

In questo semplicissimo esempio possiamo comprendere più facilmente come il mansplaining non sia solo un atto, ma la concretizzazione di una modalità di pensiero che caratterizza il soggetto responsabile. 

La manifestazione fenomenica di un pregiudizio basato su un modo di ragionare maschilista.

Nel concreto, il mansplaining sta nei fatti, non nelle opinioni: le donne hanno meno probabilità di prendere parola in gruppo, sono meno ascoltate, più interrotte e, in funzione di ciò, sono costrette a faticare molto di più degli uomini per dare forza e credibilità alle proprie idee e ai propri punti di vista. Ripeto, qui siamo nell’ambito dei fatti, delle evidenze, non delle opinioni.

Chi ha il diritto di parlare?

È giusto affermare che solo le donne dovrebbero parlare di gender gap? E che le persone bianche non dovrebbero prendere parola sulla discriminazione razziale? O che gli etero dovrebbero astenersi dal dibattere sui diritti degli omosessuali? Io credo di no. E credo anche che non sia quello il punto.

Affermare che solo i rappresentanti di una data categoria dovrebbero esprimersi in relazione a essa è una presa di posizione che, oltre che limitante e immatura, risulta anche mortificante nei confronti della causa stessa che si vuole affrontare e sostenere. Ridurre ogni forma di confronto a vessillo di un gruppo e, in funzione di esso, vietarne la discussione all’esterno, non farebbe altro che impedire a temi sociali di grande rilevanza di acquisire visibilità e, di conseguenza, rilevanza nell’agenda dei media e di coloro che sono chiamati a legiferare.

Ecco perché bisogna fare molta attenzione: il punto non è che un uomo non possa parlare di patriarcato. Il punto è che un uomo non può pretendere di dettare la linea narrativa senza neppure ascoltare coloro che il patriarcato lo subiscono.

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Mansplaining, ad esempio, sono sette uomini e zero donne riuniti nel salotto di Porta a Porta a parlare di aborto (puntata del 18 aprile 2024). Un momento di TV talmente surreale che, diversi anni prima, era stato proposto nelle stesse modalità, ma con evidente intento parodistico, in una puntata della serie tv di Netflix BoJack Horseman:

Va bene parlarne, ma nel modo giusto

Oltre che nella società della polarizzazione, siamo anche nella società dell’isteria; è pressoché inevitabile: oggi ogni tematica diventa di dominio pubblico e i social permettono a chiunque di prendere parte al dibattito. E quando grandi gruppi partecipano a discussioni su temi tanto scottanti e complessi, si va costantemente incontro a un processo di banalizzazione.

Così, le sfumature a cui accennavo prima si perdono e restano il bianco e il nero. Gli uomini hanno il diritto di prendere parte al dibattito sulla parità di genere, anzi, dovrebbero farlo: se esiste il gender gap, è proprio perché esistono uomini per nulla disposti ad attuare un cambio di paradigma, o anche solo a prendere atto del fatto che la differenza di genere esiste. Pensare di attuare un cambiamento prescindendo dal coinvolgimento di coloro che si fanno simbolo e custode dello status quo sarebbe uno sforzo di illogicità. Così come pensare di combattere il razzismo e l’omofobia escludendo dal discorso le categorie umane che esprimono i razzisti e gli omofobi non avrebbe alcun senso.

Mansplaining non è quando gli uomini parlano di patriarcato: mansplaining è quando gli uomini pensano di poter spiegare alle donne cosa sia il patriarcato e come dovrebbero sentirsi in relazione a esso.

Ogni tentativo di escludere l’uomo, le persone bianche e gli etero da ogni forma di confronto sull’uguaglianza e sulla parità di diritti, non fa altro che acuire le differenze, intensificare il bianco e il nero, porre in risalto le differenze anziché ragionare sui tratti che accomunano ognuno di noi, in quanto membri della stessa categoria, quella del genere umano.

Come sempre, specie da quando il web ha esaltato il diritto di parola e soffocato il dovere di riflettere su ciò che si dice, anche con il mansplaining siamo costretti a sottostare a un appiattimento e a una cristallizzazione di posizioni tanto ideologiche quanto vuote, nel concreto.

La soluzione? Abbandonare i giudizi dottrinari, valutare caso per caso, liberarsi del pregiudizio, sviluppare un senso critico e, soprattutto, l’autocritica.

Ovvero: non c’è alcuna soluzione.