Provate a pensare all’ultimo prodotto o servizio che avete pagato. Che si tratti di un capo d’abbigliamento, di un elettrodomestico, di un conto al ristorante, il processo mentale che ha smosso le vostre motivazioni all’acquisto, quasi certamente, ha avuto molto più a che fare con i vantaggi che il bene garantisce che con le sue caratteristiche intrinseche. Quando selezioniamo una bibita, ad esempio, non acquistiamo la bevanda in sé, bensì la sua capacità dissetante; se compriamo un’automobile è perché desideriamo spostarci in modo rapido e, possibilmente, sentirci fighi mentre lo facciamo; se preferiamo un triplo hamburger a un’insalatona scondita è perché stiamo cercando un senso di appagamento sensoriale per le nostre papille gustative. Il prodotto è il mezzo che ci occorre per raggiungere lo scopo prefisso. L’obiettivo da perseguire, l’esigenza da appagare, lo sfizio da levarci è ciò che realmente ognuno di noi considera ogni qualvolta decida di concludere una transazione, il prodotto acquistato è ciò che ci consente di ottenere ciò che vogliamo. Ciò significa che potremmo optare per un’aranciata o per una coca, una cabriolet o un SUV, potremmo cambiare idea e sostituire l’hamburger a una pizza farcita: in tutti e tre i casi, saremmo ugualmente felici della nostra scelta, quale essa fosse, perché lo scopo viene comunque raggiunto.
LEGGI ANCHE: Il clickbaiting sta ammazzando l’informazione. E siamo tutti complici
Cosa significa ‘beneficio’
La Treccani definisce beneficio “Qualsiasi atto o concessione con cui si fa del bene ad altra persona e le si giova materialmente o anche spiritualmente”. Il concetto focale qui è quello di “giovamento”, materiale o persino spirituale. Ognuno di noi, nel momento in cui entra nell’ordine di idee di tirare fuori dei soldi, lo fa nella speranza di compiere un acquisto in grado di apportare un valore alla propria condizione iniziale, pratico o emotivo. Riprendendo i primi esempi: siamo disposti a spendere dei soldi perché vogliamo dissetarci e rinfrescarci, che sia grazie ad un’aranciata o a una coca; necessitiamo di un mezzo per spostarci, ma vogliamo sentirci bene mentre lo guidiamo, e ciò è possibile sia grazie a un’auto sportiva e sia tramite un 4×4; cerchiamo un cibo che appaghi la nostra voglia di sentirci grassi e felici, grazie a un hamburger o a una pizza.
Quindi: vendere il beneficio
Ora, compreso che i consumatori indirizzano le proprie scelte d’acquisto in relazione a una ricerca di beneficio, proviamo a spostare il focus sul ragionamento del venditore (e del pubblicitario), utilizzando ancora l’esempio della bevanda analcolica rinfrescante. Sappiamo che tutti gli esseri umani hanno sete; sappiamo che una frazione considerevole di essi, specie nelle giornate di calura, amano appagare il proprio bisogno di dissetarsi acquistando una bevanda frizzante analcolica e zuccherata. Detta in altri termini, sappiamo che una certa parte di pubblico acquista bevande fresche e zuccherate perché vuole sentirsi refrigerato ed ‘energizzato’, sappiamo anche che tale bisogno o desiderio può essere soddisfatto da una gamma più o meno ampia di prodotti, tra cui anche quello che ci vuole vendere il produttore di aranciate. Qual è, per il produttore, il modo migliore per convincerci a scegliere proprio la sua bevanda e non quella di un concorrente?
Cosa dire e come dirlo
Riconduciamo ora il discorso in un’ottica promozionale per cercare di capire come quanto detto finora influenzi il modo in cui un prodotto commerciale viene presentato al pubblico. La prima e più ovvia conclusione a cui possiamo giungere è che, per essere convincente, una pubblicità dovrebbe raccontare alla gente gli effetti del prodotto piuttosto che le sue caratteristiche. In alcuni casi ciò è piuttosto intuitivo: quando viene sponsorizzata una bibita zuccherata l’attenzione viene posta sul fatto che rinfresca, che disseta e che gratifica le papille gustative, non che nella bevanda vi sia una concentrazione di saccarosio e sali minerali tali che blabla blabla… In altri casi, però, il confine può essere più labile. Un vecchio adagio del marketing recita che “devi vendere il buco, non il trapano”, ovvero, ancora una volta, Il beneficio, non l’oggetto. Partiamo da questo esempio: supponiamo che il prodotto che si vuole vendere sia un trapano straordinariamente leggero e maneggevole. Il peso inferiore del prodotto rispetto a quello della concorrenza è l’elemento differenziante: si tratta chiaramente di una caratteristica dell’oggetto, non di un beneficio, giusto? Sì e no. I potenziali acquirenti, infatti, sono attratti dall’idea di acquistare un trapano straordinariamente leggero per via dei benefici che esso garantisce: facilità di lavoro, minor fatica, comodità di trasporto; ed eccoci alla questione centrale: da un punto di vista di comunicazione e promozione del prodotto, una pubblicità efficace è tale nel momento in cui riesce a mostrare cosa significa possedere un trapano straordinariamente leggero. Se il produttore volesse rendere manifesta la differenza tra il proprio prodotto e quello della concorrenza concentrandosi sulla caratteristica in sé dell’oggetto, potrebbe dire che “Trapano Tal dei Tali pesa il 30% in meno degli altri trapani”, ma a chi importerebbe? Molto più efficace, invece, è mostrare due immagini, in una delle quali è raffigurato un amante del bricolage stanco e sudato mentre sorregge un pesante trapano, nell’altra c’è un simpatico trivellatore di pareti che sorride, asciutto e rilassato, mentre utilizza lo strumento proposto nella réclame. Cosa vende di più, la caratteristica o il beneficio?
LEGGI ANCHE: Frasi fatte stupide: quando la parola precede il pensiero
Intercettare il beneficio, spiegarlo in modo semplice
Rispolverando per la terza volta l’esempio dell’automobile: se un pubblicitario volesse promuovere una macchina che fa della velocità il suo elemento di valore, sarebbe molto più efficace spiegare che il mezzo “Va come una scheggia” piuttosto che enucleare tutte le specifiche tecniche relative al numero di cavalli, alla cilindrata del motore, all’assetto aerodinamico della vettura e a tutte quelle altre cose che noi uomini fingiamo di comprendere alla perfezione. Volendo estrapolare una regola semplice semplice: il beneficio di un prodotto viene sempre reso manifesto, non viene mai lasciato sottintendere.
I benefici non dichiarati
Le motivazioni all’acquisto, però, sono orientate dall’emotività prima ancora che dalla ragione e un beneficio, spesso, ne sottende un altro meno palese, ma che può essere ancora più decisivo nel definire le nostre decisioni di consumatori. Tenendo buono l’esempio dell’auto: perché la gente dovrebbe desiderare un’automobile capace di spingersi a una velocità non consentita dalla legge? Forse, perché il nostro pubblico di riferimento è contraddistinto da un’indole intemperante, passionale, ribelle. Forse, il desiderio di velocità rivela un desiderio ancor più profondo e non dichiarato di adrenalina, di eccitazione, di differenziarsi dalla massa. Ecco allora che il focus può essere spostato ancora più in fondo: non viene più venduta un’automobile e neppure la possibilità di raggiungere velocità proibite dalla legge, ciò che viene reso acquistabile (e desiderabile) è una sensazione, uno stato d’animo: guida questo macchinone e ti sentirai vivo. Guida quest’auto e sarai diverso dagli altri.
LEGGI ANCHE: Gestire la comunicazione disfunzionale: come non farsi la guerra (e stare tutti meglio)
C’è sempre un beneficio
Cercare di vendere il ghiaccio agli esquimesi è inutile, è molto più logico andarlo a vendere dove c’è siccità. Il beneficio di un prodotto è relativo, dipende dal periodo storico, dall’area geografica in cui viene proposto, dal pubblico cui ci si rivolge, dalle modalità comunicative utilizzate per raccontarlo. Noi, in quanto consumatori, siamo imbevuti totalmente in questo tipo di realtà consumistica, categorizzati in relazione ai nostri bisogni, ai nostri desideri, alle nostre caratteristiche sociali, economiche e di genere. E non c’è niente di male.