Dal titolo può sembrare un pezzo un po’ bacchettone, dal classico sapore “le nuove generazioni non hanno valori, ai miei tempi invece bla bla bla…“. In realtà, vorrei solo proporre alcune riflessioni che non coinvolgono esclusivamente Instagram e il suo rapporto con gli utenti. Partendo da Instagram, vorrei soffermarmi sulle dinamiche di comunicazione trans-mediale che oggi marginalizzano sempre di più l’uso della parola, in favore di un modello che pone il visivo e il veloce al centro de proprio lessico. Il quesito di fondo, mai del tutto manifesto, che fa da filo rosso alla trattazione sarà: stiamo diventando più stupidi?
le nuove generazioni non hanno valori, ai miei tempi invece bla bla bla…
Instagram
marginalizzano sempre di più l’uso della parola
In principio fu la parola…
Ci fu il tempo delle missive, in pergamena e in bambù prima ancora che su carta. Lettere che correvano lungo strade battute, cavalli e messaggeri. Parole. E quello è stato l’unico mezzo davvero ‘social’, davvero accessibile a tutti, per secoli. Dalle lettere al telefono, dove la parola, ma sempre lei, si volatilizza, si rende immediata e aperta all’interscambio, alla contemporaneità di produzione e ascolto. I cellulari con l’antenna, gli SMS, le e-mail, le prime, rudimentali, forme di chat, di social network persino, in un’accezione ancora distante da quella attuale. Parole, che scorrono lungo campi elettromagnetici sempre più potenti e display sempre più multiforme. Nel 2007 nasce Facebook, con tutto ciò che ne comporta, impossibile provare a riassumere l’impatto del fenomeno Zuckerberg su tutto ciò che esiste. Da quel momento, accontentiamoci di sapere, nulla è stato più lo stesso. Eppure, la parola restava il fulcro di ogni connessione, l’elemento attrattivo in grado di accomunare, di associare, di aggregare. E oggi? Oggi cosa cambia, ammesso che qualcosa sia cambiato?
Parole
nasce Facebook
E oggi?
Da Facebook a Instagram: social network a confronto
Domandate a un 18enne a caso quale sia il suo social network preferito tra Facebook e Instagram. Con buonissime possibilità, il ragazzo opterà per la seconda alternativa. Tra gli under 30, il social network dedicato alle foto surclassa statisticamente il suo rivale (rivale solo formalmente, dato che entrambe le piattaforme fanno parte della società Facebook Inc.). Perché ciò accade? Cosa spinge un giovane utente del web a preferire Instagram a Facebook? Prima di rispondere a questa domanda, dobbiamo analizzare le differenze strutturali e funzionali che distinguono i due social network. Su Facebook, è possibile pubblicare e condividere una pluralità di contenuti digitali, dai video alle immagini, dalle GIF alle semplici frasi o persino singole parole. Gli utenti possiedono un proprio profilo utente, ma è possibile creare anche pagine, gruppi o eventi. Facebook è una piattaforma molteplice, sia in relazione ai possibili linguaggi adoperabili e sia in relazione alle realtà che popolano la piattaforma. Instagram, diversamente, non accetta distinzioni tra profili privati, pagine aziendali, gente comune e gente famosa. Ogni utente corrisponde a un account, sia esso estensione di una persona, di una star dello show business, una piccola azienda a conduzione famigliare.
under 30
show business
Instagram: le parole sono un corredo
La differenza più emergente tra il funzionamento di Instagram e quello di Facebook, però, è un’altra: Instagram, contrariamente a Facebook, non punta su una pluralità di contenuti, bensì impone uno standard morfosintattico, ovvero l’immagine. La bacheca di ogni utente è un aggregatore di immagini e di video brevissimi, da consumare famelicamente con la punta del proprio dito prima ancora che con gli occhi. Qui si consuma lo scarto tra ciò che è sempre stato e ciò che oggi è: la parola non viene eliminata, ma ricollocata più in basso, più in piccolo. Il testo diventa corredo dell’immagine, si subordina ad essa ed alla sua maestosa potenza seduttiva. Come se, ad un certo punto della sua esistenza, la parola scoprisse di avere bisogno di altro per poter essere presa in considerazione.
l’immagine
Nessuno qui vuole sminuire l’importanza del visivo…
Intendiamoci, Instagram non ha alcuna colpa, se di colpa si può parlare. I social network che puntano esclusivamente sulle immagini ci sono ‘sempre’ stati, se pensiamo che ad esempio Flickr è nato nel 2004, tre anni prima di Facebook. E Instagram offre la propria interpretazione di piattaforma foografica, senza pretendere nulla al di fuori di sé. Il problema, ammesso che ce ne sia uno, sta nella sua capillarità tra i più giovani, a fronte di un impoverimento del contenuto pensato. E non stiamo qui a dirci quanto possa essere complesso realizzare una foto di qualità e quanto essa possa essere evocativa. La verità è sotto gli occhi di tutti: su Instagram, abbiamo pochissimo margine per esprimere i nostri pensieri, perché la parola ha il ruolo di gregario, non è ciò che conta. Anche qui, non c’è nulla di male, esistono altri canali per raccontare e raccontarsi tramite la narrazione. Circa il 40% di chi utilizza Instagram ha meno di 35 anni, chi ha meno di 30 anni predilige la rapidità di Instagram alla ricchezza semantica di Facebook. I giovani stanno rinunciando alla parola in favore di un lessico digitale meno faticoso da maneggiare? Le argomentazioni, tra i giovani, hanno perso appeal?
capillarità tra i più giovani
Le argomentazioni, tra i giovani, hanno perso appeal?
Tranquilli, ci stiamo già adattando
Non sorprende, quindi, che anche grandi produttori di contenuti abbiano imparato a dimostrare una maggiore propensione all’aspetto visivo, sacrificando quello testuale. Siamo nell’ambito delle pure considerazioni personali, ma credo sia triste scoprire che, su Instagram, Il Sole 24 Ore, Il Corriere, Vice o L’Accademia della Crusca sia costretto a usare la prepotenza dell’immagine per convincere l’utente a volgere lo sguardo verso le proprie produzioni, e che l’articolo diventi una enorme didascalia, talmente piccola da richiederci uno sforzo ottico per interpretarla. Il tutto, possibilmente, mentre qualcuno reclama di poter usare il bagno che voi state occupando da mezz’ora perché a leggere veloce proprio non vi riesce. È triste per la comunicazione in sé, triste per i più giovani, triste per chi attende che il bagno si liberi.
Il Sole 24 Ore
Il Corriere
Vice
L’Accademia della Crusca
costretto a usare la prepotenza dell’immagine